La dottoressa  Francesca  Cancellanda, psicologa che  vanta  una  decennale esperienza di lavoro nel team dentale come di assistente alla poltrona, prima di laurearsi, e poi da psicologa.

Ho avuto modo di ascoltarla in una conferenza nell’ambito della sua attività di formatrice e consuelor nel settore dentale.
Il suo punto di vista sulla nostra realtà lavorativa quotidiana può aiutarci a gestire meglio alcune  situazioni, per questo le ho posto alcune domande.

Come dentista mi capita di  curare pazienti a cui è necessario estrarre gli elementi dentali residui per realizzare protesi complete fisse o mobili. Può spiegaci quali sono i vissuti a cui va incontro il paziente, come posso comunicare correttamente la necessità di estrarre gli elementi dentali residui, al fine di  facilitare l’accettazione del piano di trattamento?

La perdita dei denti rappresenta una delle maggiori cause di stress, infatti alcuni pazienti hanno paragonato la perdita dei denti alla perdita di una parte del loro corpo, altri sono rimasti sorpresi dall’impatto che la perdita dei denti ha avuto sulla vita di relazione che rappresenta uno dei maggiori bisogni dell’individuo, perché è proprio nell’ambito delle relazioni che abbiamo informazioni circa la nostra esistenza e la nostra identità.
Sin dalla nascita abbiamo “tre fami”: “fame di stimolo”, “fame di riconoscimento” e “fame di struttura”, che sono insite in noi esattamente come la “fame di cibo”.

Ovvero?

Queste “fami” ci guidano nel nostro agire e nelle nostre esperienze.
La “fame di stimolo” si manifesta nella ricerca umana di esperienze sensoriali capaci di nutrire l’individuo fin dalla nascita: i suoi sensi, il suo sentire, il suo sentirsi.
La “fame di riconoscimento” ossia l’essere riconosciuti dalla presenza attiva di un altro: chi siamo per lui, nel rapporto con lui.
La”fame di struttura” esprime il bisogno di evitare la noia.
Ciò che fa da spartiacque nella strutturazione del tempo è dato dall’esperienza relazionale. Pertanto il vissuto del paziente edentulo è caratterizzato dalla mancanza di soddisfacimento di queste “tre fami” e dall’incapacità di strutturare il proprio tempo di vita nella soddisfazione dei propri bisogni.
Un tempo di vita che in tale situazione si è trasforma in una sorta di “isolamento”, una modalità in cui la persona si ritira dagli altri.

Quale è il giusto approccio che il Team odontoiatrico deve adottare nei confronti di questi pazienti?

Il giusto approccio da parte del Team odontoiatrico è quello, per comunicare correttamente la prognosi e facilitare l’accettazione del piano di trattamento, di connettersi con il paziente creando un’alleanza tale da consentire di percorrere “il trattamento terapeutico” insieme. L’alleanza si realizza a partire dal riconoscere il paziente, i suoi bisogni e stare ad ascoltarlo con tutti i nostri sensi. Questo è uno dei riconoscimenti che possiamo fare ad un paziente. Sarà utile proporre e pianificare assieme al paziente programmi di intervento adeguati alle sue necessità al fine di rinforzare l’accettazione della sua nuova condizione lavorando sulla sua autostima: aiutarlo a prendere coscienza di una nuova parte di sé: la protesi.

Come possiamo farlo?

Attraverso delle tecniche come la lettura del giornale a voce alta e lentamente, guardarsi allo specchio, tagliare il cibo in piccoli pezzi e masticare lentamente etc; ascoltarlo nell’espressione delle sue emozioni ed aiutarlo a mettersi in contatto con il suo sentito sia psicologico che fisiologico al fine di riorganizzare e cristallizzare la sua nuova condizione. Soffermarsi sulle paure del paziente e su quelle relative al giudizio degli altri, per valorizzare invece il proprio modo di auto valutarsi; esaminare insieme gli ostacoli e mettere in luce la possibilità di superarli; vedere gli aspetti positivi di sé in relazione ai vantaggi della protesi (recuperare fiducia, sicurezza, una vita relazionale normale…); aiutarlo a darsi dei permessi: per esempio darsi il permesso di sorridere.
Darsi dei permessi innesca una dinamica capace di confrontarsi con gli aspetti di sé inibitori e di entrare in contatto con  i bisogni,desideri.
Sosteniamolo gratificandolo e riconoscendolo nella sua unicità,nel modo di esprimersi, e di comunicare.

Perché ritiene che sia importante l’apporto di tutto il team per raggiungere questo obiettivo?

Penso che per raggiungere tale obiettivo, sia fondamentale creare un percorso di qualità che si rifletta nella soddisfazione del paziente, e che vede all’interno dello studio un team coeso di individui che guardano nella stessa direzione, e non tanti individui che lavorano individualmente.
Il team nasce nella testa delle persone, si realizza attraverso i comportamenti che queste mettono in atto e attraverso la relazione che poi si riflette nel paziente. E’ nella comunicazione che si apre la relazione, e la comunicazione efficace è basata sulla condivisione di quelle  parti di noi (insieme di emozioni, pensieri e comportamenti che mettiamo in atto e che rappresentano il nostro modo di essere) e del nostro paziente che si attivano nello scambio comunicativo.